
1. Che cosa ti ha ispirato a lasciare la tua casa in Italia e venire in Canada? In particolare che cosa ti ha portato a Vancouver?
Semplicemente avevo mia sorella qua e sono venuto a trovarla nel 1967; mi è subito piaciuto moltissimo, non perche’ fosse meglio del posto in cui stavo all’epoca, Milano, dove lavoravo come fotografo. L’aria era troppo inquinata là e il dottore mi ha detto che se fossi rimasto ancora a lungo, sarei morto! Quando sono arrivato a Vancouver ero sano come un pesce e allora, nel 1968, mi sono spostato definitivamente.
2. Quali sono state alcune delle tue prime esperienze quando sei arrivato in Canada?
Beh, non c’era niente; mi sono detto: “Qui è tutto da rifare!” Ma le occasioni ti capitano davanti, non siamo arrivati come Cristoforo Colombo a scoprire l’America!
3. Cosa hai fatto della tua carriera quando sei venuto in Canada?
Siccome ero fotografo, la mia prima idea è stato un studio fotografico nella zona italiana, si chiamava Tivoli Fotostudio. Stavo bene, anche se non facevo il mio lavoro; io ero fotografo industriale. Mi sono adattato a fare il fotografo di matrimoni, battesimi, comunioni, passaporti… Ero l’unico che riusciva a fare foto di passaporti in un’ora! A quei tempi là non c’era niente, io avevo dei trucchi che avevo imparato in Germania.
Subito dopo mi hanno offerto un programma radio, non me lo sarei mai sognato di essere un annunciatore radio! Per la prima volta aveva aperto una stazione radio etnica, multilingue, che si chiamava CJVB, che poi io chiamavo Radio Italia. Ho dovuto imparare velocemente: facevamo musica, notiziario, interviste relative a cosa succedeva in Italia. Facevo il calcio minuto per minuto, dal vivo! Registravo attraverso i cavi telefonici, infatti avevo le notizie italiane prima dell’Italia grazie alle 9 ore di differenza! Ero popolare, perchè ero l’unico mezzo di informazione che gli italiani di Vancouver avevano. Entravo di casa in casa.
Mentre lavoravo alla Radio, nel 1974 ho fondato il Marco Polo per dare voce agli italiani riguardo alla possibilita’ di costruire il Centro; ai tempi c’era solo l’Eco d’Italia. L’Eco era considerato il “nemico” del Centro.
Un anno, nel 1982, ho avuto anche la televisione, un programma televisivo etnico, io avevo la mia ora in italiano. La RAI mi forniva anche dei materiali. Era molto seguito, specialmente la radio, era capillare, tutti l’ascoltavano.
La tua carriera quindi si è evoluta in un modo alternativo, dalla fotografia ad attività volte a tenere uniti gli italiani a Vancouver.
Si esatto, ma c’è stata anche una parentesi dove ho avuto un ristorante. Nel 1981 ho avuto Il Favorito. Non avevo nessuna esperienza di ristorazione, ma mia mamma era una cuoca di professione, per cui sono cresciuto fra le cose buone! Questo mi ha dato l’idea del ristorante. C’è stato un momento in cui avevo quattro ristoranti, non so come sono riuscito a manovrarli tutti quanti. Uno era particolare, chiamato Andiamo Ristorante, su Hastings and Howe, era di stampo moderno ed eravamo sei partners. Correva l’anno 1988. Dopo un anno di bella vita non tornavano i conti, allora ho rilevato il ristorante per $1. Ho preso una grande responsabiltà ma il locale era di grande successo. Si è ripreso ed è diventato una sensazione, non c’era nulla di simile in Nord America. Fino alle 11 era un ristorante di prima classe, poi diventava un night club. Avevo le migliori orchestre e l’industria cinematografica affittava il locale per filmare. Sean Connery, Mel Gibson, John Travolta, tutti i grandi sono venuti.
Poi l’ho venduto, purtroppo alle persone sbagliate. Favorito, invece, l’ho tenuto, mentre gli altri due erano di passaggio. Nel frattempo, quando avevo il ristorante, avevo venduto il Marco Polo (tenuto dal 1974 al 1979).
Nel 1994 quando sono tornato in comunità, sono diventato il direttore dell’Eco d’Italia. Il Marco Polo intanto era a dormire. Un certo Iannuzzi di Toronto possedeva l’Eco d’Italia, ma mi conosceva, e mi ha chiesto di fare il direttore visto che ero uscito dai ristoranti. Siccome lui non mi poteva pagare, gli ho dato un po’ di soldi e l’ho comprato io. Purtroppo pero’ l’Eco io ce l’avevo sullo stomaco, per quello che aveva fatto in passato al Centro, c’era un’antipatia radicata. Allora ho fatto rinascere il Marco Polo e l’ho messo come inserto nell’Eco d’Italia. Piano piano ha aumentato le pagine e la gente si era riabituata a vedere il Marco Polo e col passare del tempo l’Eco è diventato, viceversa, un inserto del Marco Polo. Alla fine l’Eco è sfumato.
Il Marco Polo ha ricevuto 3 Awards nazionali. Il Primo Ministro canadese all’epoca, Steven Harper, mi ha dato l’attestato honoris causa al giornalismo; ho fatto ben 3.000 testate in Canada.
Potrei essere multimilionario ma non mi sono mai interessato, io sono fatto così, ho fatto sempre tutto per gli altri.
4. Come sarebbe stata la tua vita se fossi rimasto in Italia?
Sarei stato un fotografo e basta. Non mi sono mai pentito di essere venuto qui, ho fatto una vita molto interessante e mi sono espresso anche di più. In Italia non mi sarei spostato dalla fotografia.
Un nuovo mondo ti da’ un sacco di possibilità. Se oggi io non sono ricco dal punto di vista finanziario, è perchè non l’ho voluto io. Non ho mai sofferto di niente, ho sempre avuto quello che mi serviva. Ho fatto delle cose che non sapevo fare, a me piacciono le sfide, non ho paura. Se io domani chiudo gli occhi, ringrazio per la bella vita che ho avuto. La mia vita e’ molto ricca.
5. Cosa ti e’ rimasto dell’Italia?
Tutto, io amo l’Italia. Io sono un italiano residente all’estero e mi sento italiano al 100%. Non bisogna mai rinnegare le proprie origini. Anche quando ero in Germania mi sentivo italiano, in Canada sono italiano. Ti meraviglierai, ma dopo 40-50 anni tanti italiani non sono più italiani, non sono nè carne nè pesce. Io per mantenermi non ho fatto nulla, ho amato l’Italia e chi sono. E poi tutto quello che ho fatto, l’ho fatto per gli italiani, io educavo la comunita’ italiana. Infatti la comunita’ di Vancouver era più aggiornata di quella di Toronto e Montreal. Prima che arrivassi io, gli italiani facevano casa e lavoro e basta. C’era solo la Confratellanza Italo-Canadese, con Angelo Branca, loro hanno iniziato attorno al 1966.
6. Quanto era importante il Centro Culturale Italiano per la comunita’ italiana a quel tempo?
Sicuramente di grande importanza, il Centro si è voluto fortemente. Ed è anche grazie alla Radio che si è potuto costruire, io motivavo gli italiani a sostenere la causa. Verso il ‘74 abbiamo iniziato a pensarci seriamente e nel ‘77 abbiamo depositato il primo mattone.
Devi sapere che a quel tempo c’erano due squadre che volevano costruire il Centro Culturale Italiano: una di italo-canadesi, l’altra fatta da italiani arrivati negli anni fine ‘50 – inizio ‘60. Ci fu un tentativo di mettersi tutti insieme, di fare una squadra sola, ma non ha funzionato. Quando ho fondato il Marco Polo era per controbattere l’Eco d’Italia, una sfida per la causa del Centro.
Il console Giovanni Germano ha rischiato tutto pur di vedere il Centro costruito. Tutti abbiamo lavorato sodo per cercare dove costruirlo, come motivare il Governo provinciale e come trovare i soldi. I primi $100.000 li ho trovati io attraverso la Radio. Poi ci sono stati molto donazioni, piccole cifre ma molti materiali e lavoro volontario.
Una volta costruito, il Centro è diventato un grande ombrello e sotto c’erano 36 associazioni di italiani, la maggior parte regionali. Il Centro all’epoca si chiamava Italian Folk Society. Si manteneva attraverso gli eventi che le associaioni proponevano e organizzavano ogni anno; non c’erano solo eventi italiani, il Centro accettava anche altri generi di eventi etnici; poi sono arrivati l’asilo, la scuola, c’era multiculturalità.
Io sono stato sempre o direttore o delegato e ho rifiutato 3 volte di essere Presidente “per acclamazione” perchè all’epoca non avevo tempo. Non credevo molto nell’acclamazione e, inoltre, se vuoi essere un buon Presidente devi avere del tempo da dedicare e nessuno ti paga per questo.
Ad un certo punto ci sarebbe voluto un presidente che sapesse ri-italianizzare il Centro, perche’ pian piano stava diventando “canadese.” Non c’era più immigrazione e bisognava attingere dalla nuova generazione di italo-canadesi, che non parlava italiano. Io cercavo di mantenere la cultura italiana viva, sono anche stato il primo presidente del Circolo Siciliano, con i costumi, il ballo, la cucina. Ho cercato di insegnare alle altre associazioni a riprendere le loro tradizioni, riportare il folklore; ho messo insieme i molisani, gli abruzzesi etc. Ho lanciato il Festival della Canzone Italiana, lo Zecchino d’Oro, le Miss Italia, i festival culinari. Ho creato un evento chiamato “Sapore d’Italia” con un tavolo grande come la Grand Ballroom, a forma d’Italia, con tutti gli chef e i piatti regionali. I media canadesi erano entusiasti. Il Centro era diventato il cuore della comunita’ italiana, mentre prima tutto si svolgeva su Commercial Drive.
L’ultima cosa che ho fatto, nel 2005, è stato Miss Italia nel Mondo, sezione canadese. Abbiamo fatto la selezione qua al Centro e poi la ragazza ha partecipato in Italia, arrivando decima.
7. Come si è evoluto il Centro Culturale Italiano oggi?
Con Mauro le cose sono migliorate parecchio perchè ha intrapreso delle iniziative culturali interessanti, fra cui l’Italian Film Festival, il Mercato, il Jazz. Ha incrementato le dimostrazioni culinarie, ha dato un’impronta molto positiva e italiana, perche’ l’autenticità italiana stava sparendo. Negli anni precedenti la cultura italiana era stata solamente sfiorata, non c’era un’atmosfera tipica italiana. Con il nuovo progetto, al quale ho dato il benevenuto, sara’ anche meglio.
8. Quali sono alcuni consigli che vorresti dare alle prossime generazioni di italiani che stanno venendo in Canada?
Gli italiani che arrivano devono mettere grinta e dovrebbero almeno fare una visita al Centro, esplorare le possibilità. Bisognerebbe aiutare i nuovi immigrati per trovare gli sponsor, dobbiamo riceverli e vedere le loro qualifiche per farli restare a Vancouver. I giovani italiani di oggi si vogliono integrare nella società canadese ma non devono dimenticare di mettersi in gioco e usare la curiosità.
9. E alle seconde e terze generazioni che sono nate qui cosa consiglieresti?
Ho sempre consigliato ai giovani italo-canadesi di cercare e studiare le proprie radici e “italianizzarsi” un po’ di più. Assimilando un po’ di cultura italiana si diventa più ricchi e carismatici. Non tutti ne hanno voglia ma molti diventano curiosi. Il consiglio vero è di studiare di più.
Lara Ferrarotti (March 2017)